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Il discorso del cocomero (Conte al Senato)

in profstanco / by Gian Luca Conti
22/08/2019

La crisi del cocomero

La crisi di Ferragosto (la crisi del cocomero) sembra volgere al termine: le consultazioni proseguono a ritmo serrato e Salvini pare essere la principale vittima delle proprie strategie, il che è la riprova che non si deve parlare di cose serie quando c’è la musica ad alto volume e si è bevuto qualche cocktail adeguato più al contesto balneare che alla meditazione politica.

Più di tutto, però, questa crisi ha permesso al Presidente del Consiglio di rappresentare alla nazione la propria personale opinione sull’azione di governo e sulla mozione di sfiducia presentata dalla Lega. Lo ha fatto con un discorso piuttosto singolare (il discorso del cocomero) e che è piaciuto moltissimo.

Il discorso del cocomero

Il Presidente del Consiglio si è rivolto, come vuole la cortesia, alla Presidente del Senato e ai Senatori, ma, in realtà, ha parlato alla nazione.

Ha sfruttato il Senato come il palco da cui parlare alla nazione e ha saputo trovare il ritmo e le parole per essere ascoltato mentre faceva a pezzi il ministro dell’interno, costretto a una difesa mimica che non lo ha valorizzato.

Il discorso del cocomero rappresenta anche, per certi versi, una novità nella retorica parlamentare, che è strutturalmente basata su argomenti perché dovrebbe servire a convincere e, comunque, a lasciare traccia di una posizione: chi parla in aula detta il proprio intervento ai funzionari che lo trascrivono nei resoconti e lo fa con il senso di responsabilità di chi sta scrivendo per quando il presente sarà diventato passato.

Parlare al popolo o ai suoi rappresentanti?

Vi è, tuttavia, nei discorsi parlamentari un persistente senso di noia che è molto difficile vincere. Il discorso di Conte, nel resoconto di seduta fa molto meno figura che non in video.

Conte c’è riuscito perché non ha parlato al Senato, ma alla nazione.

E’ una concezione del Parlamento tipicamente populista: se si usa il Parlamento per parlare alla nazione, il dialogo in Parlamento è intermediazione (fra la sovranità e il potere) non necessaria, perché superata dalla forza di una retorica rivolta direttamente al popolo.

La comunicazione parlamentare e la comunicazione politica sono due livelli di dialettica completamente diversi e nello stesso tempo complementari. Nella prima forma di comunicazione, si parla alla nazione e si cerca di rapire il suo consenso. Nella seconda, si cerca di dimostrare come il consenso che ci è stato concesso dalla nazione può trasformarsi in un insieme di decisioni pubbliche coerenti e che hanno un obiettivo.

Se la politica si disintermedia dal Parlamento

La disintermediazione delle decisioni pubbliche dall’attività parlamentare e il dialogo diretto con la nazione è il definitivo superamento della democrazia rappresentativa.

Il senso del discorso di Conte in Parlamento, il 20 agosto 2019, è stato anche il superamento populista e sovranista di una stanca aula.

E’ non è affatto un buon viatico per il nuovo governo che sembra destinato ad essere condiviso da PD e M5S e che non potrebbe fondarsi altro che su una estrema valorizzazione delle istituzioni parlamentari, superando attraverso la dialettica parlamentare le contraddizioni politiche che, comunque, ne condizionano la nascita.

Fortunatamente, nella seduta del 20 agosto, il più parlamentare dei discorsi, nel senso alto di questa espressione, è stato quello di Renzi e Renzi sarà comunque uno dei punti di riferimento di questo nuovo governo, se dovesse nascere, come non è affatto detto che accada.

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